Ricorso  della  Provincia  autonoma   di   Trento   (cod.   fisc.
00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro
tempore  dott.  Ugo  Rossi,   previa   deliberazione   della   Giunta
provinciale 14 luglio 2014, n. 1208 (doc. 1) e delibera  di  ratifica
del  Consiglio  provinciale  24  luglio  2014,  n.   11   (doc.   2),
rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 28039 del 22
luglio 2014 (doc. 3), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu,  Ufficiale
rogante della Provincia, dall'avv. prof.  Giandomenico  Falcon  (cod.
fisc. FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod.
fisc. PDRNCL56R01G428C) dell'Avvocatura della  Provincia  di  Trento,
nonche' dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. MNZLGU34E15H501Y) di  Roma,
con domicilio eletto presso quest'ultimo in  via  Confalonieri,  n.5,
Roma; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 7, comma
1; dell'articolo 8, commi 4, 6, 7, e 10; dell'articolo 14, commi 1, 2
e 4-ter; dell'articolo 22, comma 2; dell'articolo 46, commi 1, 2, 3 e
6; dell'articolo 47, commi 8, 9, 11 e 12; dell'articolo 50, comma 10,
del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti  per
la competitivita' e la giustizia sociale. Deleghe al Governo  per  il
completamento della revisione  della  struttura  del  bilancio  dello
Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del  bilancio
e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonche'  per
l'adozione di un testo unico in materia di contabilita' di Stato e di
tesoreria», convertito, con  modificazioni,  nella  legge  23  giugno
2014, n. 89, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 23 giugno
2014; 
    Per violazione: 
        degli articoli 8, 9, 16, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31  agosto
1972, n. 670 (Statuto speciale), nonche' delle correlative  norme  di
attuazione; 
        del titolo VI dello Statuto speciale,  in  particolare  degli
articoli 75, 79, 80 e  81,  e  delle  relative  norme  di  attuazione
(decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in  particolare  articoli
9, 10, 10-bis, 16, 17, 18 e 19); 
        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
articoli 2 e 4; 
        del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, in particolare  articolo
8; 
        degli articoli 117, sesto comma, e 120 della Costituzione  in
combinato disposto con l'articolo 10 della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3; 
nonche' del principio di leale  collaborazione,  nei  modi  e  per  i
profili di seguito illustrati. 
 
                           Fatto e diritto 
 
Premessa 
    Il presente ricorso si riferisce ad alcune disposizioni del  d.l.
24 aprile 2014, n. 66, ed in particolare all'art. 7 (Destinazione dei
proventi della lotta all'evasione fiscale), all'art. 8 (Trasparenza e
razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi),  all'art.
14 (Controllo della spesa  per  incarichi  di  consulenza,  studio  e
ricerca  e  per  i   contratti   di   collaborazione   coordinata   e
continuativa), all'art. 22 (Riduzione delle spese fiscali),  all'art.
46 (Concorso delle regioni e delle province autonome  alla  riduzione
della spesa pubblica), all'art. 47 (Concorso  delle  province,  delle
citta'  metropolitane  e  dei  comuni  alla  riduzione  della   spesa
pubblica) e all'art. 50 (Disposizioni finanziarie). 
    Poiche' tali disposizioni  hanno  contenuto  eterogeneo,  risulta
preferibile evitare una illustrazione generale in fatto,  e  trattare
invece direttamente delle singole disposizioni  impugnate,  esponendo
in relazione a ciascuna di esse sia il contenuto che le censure e gli
argomenti in diritto. 
    E' da precisare, pero',  in  via  preliminare,  che  il  d.l.  n.
66/2014 contiene anche una clausola di salvaguardia. Infatti,  l'art.
50-bis dispone che «le disposizioni del presente decreto si applicano
alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento  e
di Bolzano secondo le procedure previste  dai  rispettivi  statuti  e
dalle relative norme di attuazione». Con riferimento  a  clausole  di
salvaguardia formulate in tal modo, codesta Corte  ha  precisato  che
«esse sono volte ad escludere la diretta applicazione  agli  enti  ad
autonomia speciale delle disposizioni dettate dal legislatore statale
che non siano compatibili con quanto stabilito negli statuti speciali
e  nelle  norme  di  attuazione  degli  stessi,  al  di  fuori  delle
particolari procedure previste dai rispettivi  statuti  (sentenza  n.
193 del 2012)» (v. la sent. n. 229/2013, punto 8.1 del Diritto). 
    Dunque, la presente impugnazione e' proposta in via  cautelativa,
con riferimento a disposizioni che, per il loro contenuto, potrebbero
essere intese come applicabili alla Provincia di Trento nonostante la
clausola di salvaguardia di cui sopra. 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1. 
    L'art. 7, comma 1, dispone quanto segue: 
        «le disposizioni di cui all'articolo 2,  comma  36,  terzo  e
quarto periodo, del decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,...  si
applicano fino all'annualita' 2013 con riferimento  alla  valutazione
delle maggiori entrate dell'anno medesimo rispetto a quelle del 2012.
Le maggiori entrate strutturali ed effettivamente incassate nell'anno
2013 derivanti  dall'attivita'  di  contrasto  all'evasione  fiscale,
valutate ai sensi del predetto articolo 2, comma 36, in  300  milioni
di euro  annui  dal  2014,  concorrono  alla  copertura  degli  oneri
derivanti dal presente decreto». 
    Il richiamato art. 2, comma 36,  d.l.  n.  138/2011  (cosi'  come
modificato dall'art. 1, comma 299, legge n. 228/2012), stabilisce, al
terzo periodo, che,  «a  partire  dall'anno  2013,  il  Documento  di
economia  e  finanza  contiene  una  valutazione,  relativa  all'anno
precedente, delle  maggiori  entrate  strutturali  ed  effettivamente
incassate  derivanti  dall'attivita'   di   contrasto   dell'evasione
fiscale». Nel  quarto  periodo  si  stabilisce  che  «dette  maggiori
risorse,   al   netto   di   quelle   necessarie   al    mantenimento
dell'equilibrio di bilancio e alla  riduzione  del  rapporto  tra  il
debito e il prodotto interno lordo, nonche'  di  quelle  derivanti  a
legislazione vigente dall'attivita' di recupero fiscale svolta  dalle
regioni,  dalle  province  e  dai  comuni,  unitamente  alle  risorse
derivanti dalla riduzione delle spese  fiscali,  confluiscono  in  un
Fondo per la riduzione strutturale della pressione  .fiscale  e  sono
finalizzate  al  contenimento  degli  oneri  fiscali  gravanti  sulle
famiglie e sulle imprese, secondo le modalita' di destinazione  e  di
impiego indicate  nel  medesimo  Documento  di  economia  e  finanza»
(enfasi aggiunta). 
    L'art. 2, comma 36, d.l. n. 138/2011 e' stato impugnato da questa
Provincia con ricorso n. 142/2011, attualmente pendente. 
    Il primo periodo dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 66/2014, in quanto
conferma  l'applicazione  fino  all'annualita'   2013   delle   norme
contestate con il  succitato  ricorso,  risulta  illegittimo  per  le
stesse ragioni gia' fatte valere nel ricorso  in  questione,  che  di
seguito si ripropongono. Il ricorso n. 142/2011  tracciava  in  primo
luogo un quadro del regime di autonomia  finanziaria  provinciale,  e
prospettava l'ipotesi  che  in  tale  quadro  si  potesse  dare  alle
disposizioni impugnate un'interpretazione adeguatrice, come segue: 
    Quanto alla riserva delle entrate all'erario, conviene  in  primo
luogo ricordare lo speciale regime  di  autonomia  finanziaria  della
Provincia autonoma  di  Trento,  disciplinato  dal  Titolo  VI  dello
Statuto di autonomia. 
    In particolare, l'articolo 75  stabilisce  che  «sono  attribuite
alle province le  seguenti  quote  del  gettito  delle  sottoindicate
entrate tributarie dello Stato,  percette  nei  rispettivi  territori
provinciali: a) i nove decimi delle imposte di registro e  di  bollo,
nonche' delle tasse di concessione governativa;... c) i  nove  decimi
dell'imposta sul consumo dei tabacchi per  le  vendite  afferenti  ai
territori delle due province; d)  i  sette  decimi  dell'imposta  sul
valore aggiunto, esclusa quella relativa  all'importazione...;  e)  i
nove   decimi   dell'imposta    sul    valore    aggiunto    relativa
all'importazione determinata assumendo a nferimento i consumi finali;
j) i nove decimi del gettito dell'accisa sulla benzina, sugli oli  da
gas  per  autotrazione  e  sui   gas   petroliferi   liquefatti   per
autotrazione erogati dagli  impianti  di  distribuzione  situati  nei
territori delle due province, nonche'  i  nove  decimi  delle  accise
sugli altri prodotti energetici ivi consumati; g) i  nove  decimi  di
tutte le altre entrate  tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,
comunque  denominate,  inclusa  l'imposta  locale  sui  redditi,   ad
eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti  pubblici»
[...] 
    Le previsioni del sopra citato art. 75 dello Statuto  sono  state
completate e meglio definite dalle norme  di  attuazione  di  cui  al
d.lgs. n. 268/1992. Per quanto qui rileva, l'art. 9 di  tale  decreto
dispone che «il gettito derivante  da  maggiorazioni  di  aliquote  o
dall'istituzione di  nuovi  tributi,  se  destinato  per  legge,  per
finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma
1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai  sensi  dell'art.
81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di  carattere  non
continuativo che non rientrano  nelle  materie  di  competenza  della
regione o delle province, ivi comprese quelle  relative  a  calamita'
naturali, e' riservato  allo  Stato,  purche'  risulti  temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi  quantificabile»;  si  aggiunge  poi  che  «fuori  dei  casi
contemplati nel presente articolo si applica  quanto  disposto  dagli
articoli 10 e 10-bis». [...] 
    Peraltro, l'art. 19-bis dello stesso d.l. n. 138/2011 dispone che
«l'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
avviene nel rispetto dei loro  statuti  e  delle  relative  norme  di
attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della  legge  5
maggio 2009, n. 42». 
    Il comma  1  di  quest'ultima  disposizione  stabilisce  che  «le
regioni a statuto speciale e le province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano,  nel  rispetto  degli  statuti   speciali,   concorrono   al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed
all'esercizio dei diritti e doveri  da  essi  derivanti,  nonche'  al
patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli  obblighi  posti
dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e  modalita'  stabiliti
da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da  definire,  con  le
procedure previste  dagli  statuti  medesimi,  entro  il  termine  di
ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti  legislativi
di cui all'articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento
del criterio della spesa storica di  cui  all'articolo  2,  comma  2,
lettera m)». 
    Non e' esclusa, dunque, un'interpretazione delle disposizioni  in
questione nel senso che la riserva all'erario non operi per le  somme
relative alla provincia di  Trento.  Nel  senso  dell'interpretazione
«adeguatrice» potrebbe far concludere il  principio  di  specialita',
confortato anche da quanto  considerato  nella  sentenza  di  codesta
Corte n. 152 del 2011, che ha ritenuto l'applicabilita'  anche  nella
Regione siciliana  di  norme  simili  a  quelle  qui  impugnate,  che
riservavano all'erario il gettito  di  tributi  compartecipati  dalla
Regione Sicilia, «posto che il d.l.  in  esame  non  contiene  alcuna
formula che possa configurarsi quale clausola di  salvaguardia  delle
attribuzioni delle  Regioni  ad  autonomia  speciale»:  clausola  che
invece, come ora esposto, in questo caso esiste. 
    Per il caso in cui l'art. 2, comma 36, terzo  e  quarto  periodo,
fosse ritenuto applicabile alla Provincia di Trento, valevano  invece
- come valgono ora - le seguenti censure: 
        Il  quarto  periodo  risulta,  ad  avviso  della   ricorrente
Provincia autonoma, del tutto illegittimo, mentre il terzo periodo e'
impugnato solo in quanto l'attivita' di rilevazione in esso  prevista
e' finalizzata all'attuazione del quarto periodo. 
    Si  tratta,  infatti,  di  maggiori  entrate  che  non   derivano
dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi,  ma
semplicemente dalla lotta all'evasione, cioe'  da  un  piu'  rigoroso
accertamento degli obblighi tributari preesistenti. 
    Le maggiori entrate che  ne  derivano  sono  pur  sempre  entrate
connesse alle aliquote e ai tributi esistenti, quelli il cui  gettito
spetta per i nove  decimi  alla  Provincia  secondo  le  disposizioni
statutarie. 
    Manca dunque qualunque fondamento per la destinazione ad un Fondo
statale di tali maggiori entrate, che risulta  pertanto  in  frontale
contrasto con lo Statuto. 
    La fondatezza di tale censura e' confermata anche  dalla  recente
sent. n. 152/2011, che ha dichiarato "costituzionalmente  illegittimo
l'art. 1, comma 6, del d.l. n.  40  del  2010,  nella  parte  in  cui
stabilisce  che  le  entrate  derivanti  dal  recupero  dei   crediti
d'imposta «sono riversate all'entrata  del  bilancio  dello  Stato  e
restano  acquisite  all'erario»,  anche  con  riferimento  a  crediti
d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel
territorio della Regione siciliana". La sentenza stabilisce  che  "e'
alla Regione siciliana... che spetta, non solo  provvedere  al  detto
recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto  che
tale gettito, lungi  dal  costituire  frutto  di  una  nuova  entrata
tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del  gettito  del
tributo previsto (al di fuori dei  casi  nei  quali  e'  concesso  il
credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei  limiti
dell'art. 2 del d.PR. n. 1074 del 1965". 
    La medesima sent. n. 152/2011 ha poi annullato  l'art.  3,  comma
2-bis, d.l. n. 40/2010, in  quanto  "la  previsione  della  esclusiva
destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione
agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi
erariali  che  avrebbero  dovuto  essere  riscossi   nel   territorio
regionale si pone in contrasto con il principio  di  cui  all'art.  2
delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che
le entrate derivanti dalla  richiamata  definizione  agevolata  delle
controversie tributarie siano "entrate nuove". 
    Per quanto riguarda poi il terzo periodo del comma  36,  esso  e'
affetto dagli stessi vizi  appena  illustrati  (essendo  strettamente
collegato al quarto periodo). 
    Inoltre, ove in denegata ipotesi dovesse risultare  legittimo  il
trattenimento delle somme in questione al bilancio dello Stato,  esso
risulterebbe  illegittimo  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, perche' la  quantificazione  delle  maggiori  entrate
derivanti dalla lotta all'evasione viene operata senza intesa con  la
Provincia di Trento, benche' tale quantificazione incida direttamente
e negativamente sulla dimensione  delle  risorse  che  spettano  alla
Provincia. 
    Si puo' qui aggiungere a quanto gia' considerato nel  ricorso  n.
142/2011 che l'art. 7, comma 1, primo periodo, d.l. n.  66/2014,  che
conferma  l'applicazione  dell'art.  2,  comma  36,  terzo  e  quarto
periodo, viola l'art. 75 St. e l'art. 9 d.lgs. n. 268/1992  non  solo
per l'evidente ragione che  le  maggiori  entrate  in  questione  non
derivano dall'aumento delle aliquote  o  dall'introduzione  di  nuovi
tributi, ma anche perche' la riserva non rispetta affatto i requisiti
posti per la sua legittimita' costituzionale dall'art.  9  d.lgs.  n.
268/1992, requisiti sintetizzati dalla sentenza di codesta  Corte  n.
182/2010. In particolare, dato  che  il  comma  36,  quarto  periodo,
prevede la confluenza delle maggiori risorse  "in  un  Fondo  per  la
riduzione  strutturale  della  pressione  fiscale",  mancano  sia  la
destinazione   a   "nuove   specifiche   spese   di   carattere   non
continuativo",   sia   la    delimitazione    temporale,    sia    la
contabilizzazione  distinta,  tale  non  potendosi   considerare   la
valutazione preventiva di tali entrate nel documento  di  economia  e
finanza. 
    E' da sottolineare, peraltro, che la sentenza di codesta Corte n.
241 del 2012 ha deciso, con riferimento alle  altre  quattro  Regioni
speciali, le questioni sollevate in relazione all'art. 2, comma  3  e
36, d.l. n. 138/2011. La Corte  ha  ritenuto  che,  in  virtu'  della
clausola di salvaguardia (sopra citata) di cui all'art.  19-bis  d.l.
n. 138/2011, le  norme  del  decreto-legge  n.  138  del  2011  siano
"inapplicabili agli enti a statuto speciale ove  siano  in  contrasto
con gli statuti e  le  relative  norme  di  attuazione".  Il  giudice
costituzionale ha anche sottolineato che l'art. 27 legge  n.  42/2009
"pone una vera  e  propria  «riserva  di  competenza  alle  norme  di
attuazione degli statuti» speciali per la modifica  della  disciplina
finanziaria  degli  enti  ad  autonomia  differenziata...,  cosi'  da
configurarsi quale autentico presidio procedurale  della  specialita'
finanziaria di tali enti". 
    La Corte ha dunque verificato se le riserve allo  Stato  previste
dalle norme qui impugnate fossero o  meno  consentite  dagli  Statuti
speciali e dalle norme di attuazione  delle  Regioni  ricorrenti.  In
particolare, in relazione alla impugnazione da  parte  della  Regione
Sicilia del comma 36, terzo periodo, la Corte ha osservato (punto 7.4
del Diritto) che, "ove l'evasione abbia ad oggetto entrate tributarie
interamente e  nominativamente  riservate  all'Erario  in  base  alla
normativa  statutaria,  la  questione  deve  essere  dichiarata   non
fondata, perche' si verifica la condizione del «rispetto» delle norme
statutarie richiesta dal menzionato art. 19-bis del decreto-legge  n.
138 del 2011  ai  fini  della  diretta  applicabilita'  alle  Regioni
speciali  della  normativa  impugnata,  con  esclusione,  dunque,  di
qualsiasi violazione di tali  parametri".  Ove,  invece,  "l'evasione
abbia ad oggetto entrate non  nominativamente  riservate  allo  Stato
dalla normativa di rango statutario, e' necessario valutare [...]  se
la  riserva  del  gettito  all'Erario  sia  conforme  alla  normativa
statutaria siciliana". Secondo la Corte,  "nella  specie,  si  e'  in
presenza di una entrata tributaria (in quanto effetto  dell'attivita'
di contrasto  all'evasione  fiscale),  ma  non  «nuova»  (perche'  il
recupero delle somme sottratte al fisco non comporta alcuna  modifica
della  legislazione  fiscale  vigente,  ne'   determina   un   "nuovo
provento") e, comunque,  priva  [...]  della  destinazione  specifica
richiesta dal combinato disposto degli artt. 36  dello  statuto  e  2
delle correlative norme di attuazione in materia finanziaria ai  fini
della devoluzione del gettito all'Erario". Poiche' "la  riserva  allo
Stato di tali somme (non nominativamente destinate allo  Stato  dallo
statuto  speciale)  non  e'  consentita  dalla  normativa  di   rango
statutario, il mancato «rispetto» dello statuto  comporta,  in  forza
della   clausola   di   salvaguardia   di   cui   all'art.    19-bis,
l'inapplicabilita'  alla  Regione  ricorrente  dell'impugnato   terzo
periodo del comma 36 e, quindi, la non fondatezza della questione". 
    Si ritiene  che  tale  conclusione  debba  valere  anche  per  la
Provincia di Trento, dato  che  l'art.  9  d.lgs.  n.  268/1992  pone
requisiti  ulteriori  e  piu'  stringenti  rispetto  alla  norma   di
attuazione dello Statuto  siciliano  (cioe',  all'art.  2  d.P.R.  n.
1074/1965, che ammette la riserva  all'erario  a  condizione  che  si
tratti di "nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato  con
apposite  leggi  alla  copertura  di  oneri  diretti   a   soddisfare
particolari  finalita'  contingenti  o   continuative   dello   Stato
specificate nelle leggi medesime"). 
    Poiche' l'art. 7, comma 1, primo  periodo,  rinvia  a  norme  che
codesta Corte ha gia' dichiarato inapplicabili alle Regioni speciali,
esso e' da  ritenere  inapplicabile  a  questa  Provincia  in  virtu'
dell'art. 50-bis d.l. n. 66/2014, che - come  visto  -  contiene  una
clausola di salvaguardia delle competenze delle Regioni speciali.  La
presente censura, dunque, e' formulata per l'ipotesi in cui,  invece,
si ritenesse che  la  disposizione  impugnata  del  d.l.  n.  66/2014
esprima  una  autonoma  intenzione  legislativa   nel   senso   della
applicabilita'. 
    L'art. 7, comma 1, secondo periodo, come visto, dispone  che  "le
maggiori entrate strutturali ed  effettivamente  incassate  nell'anno
2013 derivanti  dall'attivita'  di  contrasto  all'evasione  fiscale,
valutate ai sensi del predetto articolo 2, comma 36, in  300  milioni
di euro  annui  dal  2014,  concorrono  alla  copertura  degli  oneri
derivanti dal presente decreto". Dunque, rispetto  al  primo  periodo
del comma 1, la norma de qua ha ad oggetto  la  stessa  tipologia  di
entrate ma muta dal 2014 (se  cosi'  si  deve  intendere  la  formula
davvero oscura della disposizione)  la  destinazione  della  riserva:
mentre nel caso del primo periodo  si  tratta  di  un  Fondo  per  la
riduzione strutturale della pressione fiscale, nel caso  del  secondo
periodo si tratta della "copertura degli oneri derivanti dal presente
decreto". Anche l'art. 7, comma 1, secondo periodo, viola  l'art.  75
dello Statuto e l'art. 9 d.lgs. n. 268/1992, per le medesime  ragioni
sopra  esposte.  In  sintesi,  le  entrate  derivanti   dalla   lotta
all'evasione fiscale sono le stesse entrate che  spettano  pro  quota
alla Provincia ai sensi dell'art. 75 St., per cui non e' legittima la
loro riserva allo Stato. Ne' tale riserva puo' giustificarsi ai sensi
dell'art. 9 d.lgs. n. 268/1992, perche' il gettito in  questione  non
deriva "da maggiorazioni di  aliquote  o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi". 
    Se pure  vi  derivassero,  la  riserva  allo  Stato  non  sarebbe
legittima in quanto manca la delimitazione temporale, come mostra  la
valutazione di tali entrate in 300 milioni annui "dal 2014" e risulta
in ogni caso illegittima la mancata  delimitazione  della  riserva  a
quelle che nel d.l. n. 66/2014 possano considerarsi "nuove specifiche
spese di carattere non continuativo". 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi 4, 6, 7, e 10. 
    L'art. 8, comma 4,  dispone  che,  "a  decorrere  dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto, le pubbliche  amministrazioni
di cui all'articolo 11, comma 1, del  decreto  legislativo  14  marzo
2013, n. 33, riducono la spesa per acquisti di  beni  e  servizi,  in
ogni settore, per un ammontare complessivo pari a  2.100  milioni  di
euro per il 2014 in ragione di: a) 700 milioni di euro da parte delle
regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano; b) 700 milioni
di euro, di cui 340 milioni di euro da parte delle province e  citta'
metropolitane e 360 milioni di euro  da  parte  dei  comuni;  c)  700
milioni di curo, comprensivi della riduzione di cui al comma  11,  da
parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo  11,  comma
1, del decreto legislativo  14  marzo  2013,  n.  33".  Le  pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 11, comma 1,  d.lgs.  n.  33/2013
coincidono con quelle di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001. 
    L'art. 8, comma 4, stabilisce anche che "le stesse  riduzioni  si
applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015". 
    Il comma 6 statuisce, poi, che "la determinazione degli obiettivi
di riduzione di spesa per  le  regioni  e  le  province  autonome  e'
effettuata con le modalita' di cui all'articolo 46" (peraltro  l'art.
46 contiene diverse disposizioni, ragion per  cui  non  e'  chiaro  a
quale di esse intenda rinviare l'art. 8, comma 6); dal canto suo,  il
comma 7 dispone che "la determinazione degli obiettivi di  spesa  per
le province, i comuni e le citta' metropolitane e' effettuata con  le
modalita' di cui all'articolo 47". 
    Infine, il comma  10  dispone  che  "le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano possono adottare  misure  alternative
di contenimento della spesa corrente al fine di  conseguire  risparmi
comunque non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione del comma
4". 
    I. In primo luogo, i commi 4, 6 e 10 dell'art. 8  violano  l'art.
79 dello Statuto, che ad avviso della ricorrente  Provincia  autonoma
di Trento regola in  modo  esaustivo  i  modi  in  cui  la  Provincia
concorre "all'assolvimento degli obblighi  di  carattere  finanziario
posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e
dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica  stabilite
dalla normativa statale" (comma l), al comma  2  stabilisce  che  "le
misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con
la procedura prevista dall'articolo 104 e fino  alla  loro  eventuale
modificazione costituiscono il concorso  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica di cui al comma 1" (enfasi aggiunta), e al comma 3  aggiunge
che "non si applicano le misure adottate per le  regioni  e  per  gli
altri enti nel restante territorio nazionale". Dunque, l'applicazione
alla Provincia di Trento dell'art. 8, comma 4,  che  rappresenta  una
misura di coordinamento finanziario, si pone in contrasto con  l'art.
79 St. 
    Alla Provincia e' noto che codesta Corte, a partire  dalla  sent.
n. 221/2013 in poi, ha limitato l'ambito di applicazione dell'art. 79
St., collegandolo al  solo  patto  di  stabilita'  e  dichiarando  la
soggezione delle Province autonome ai principi di coordinamento della
finanza pubblica. E' pero' chiaro che l'art. 8, comma 4, non  e'  una
norma "di materia" avente finalita' di coordinamento finanziario,  ma
e' una vera e propria norma di coordinamento  diretto  della  finanza
pubblica. Esso, dunque,  non  ricadrebbe  nell'ambito  dell'art.  79,
comma 4, secondo periodo dello Statuto  e,  dunque,  ne  risulterebbe
confermata l'inapplicabilita' alla Provincia. Sia tuttavia consentito
sottoporre a codesta Corte una ulteriore riflessione sul  significato
da attribuire all'art. 79 St. 
    Nella sent. n. 221/2013 codesta Corte ha ritenuto che  l'art.  79
non regoli anche le misure di coordinamento della  finanza  pubblica.
Essa ha condiviso la tesi dell'Avvocatura, secondo la quale l'art. 79
"riguarda le modalita' del  concorso  delle  Province  autonome  agli
obiettivi di finanza pubblica stabiliti con il  patto  di  stabilita'
interno, e non significa che  -  una  volta  rispettati  i  saldi  di
bilancio prefissati - la  Provincia  possa  disattendere  i  principi
generali di coordinamento della finanza pubblica". La "necessita'  di
utilizzare il metodo pattizio"  sarebbe  "espressamente  circoscritta
agli obiettivi del patto di stabilita' interno e alla definizione dei
saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo". 
    La tesi  sarebbe  anche  supportata  dal  comma  4  dello  stesso
articolo, e precisamente dal fatto che, "mentre il primo periodo  del
comma 4 del medesimo art. 79 prevede  che  «le  disposizioni  statali
relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di  perequazione   e   di
solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal  patto
di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento  alla
regione e alle province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto
previsto dal presente articolo», il successivo periodo - relativo non
al patto di stabilita', ma, piu' in generale, al coordinamento  della
finanza pubblica - precisa che «la regione e le  province  provvedono
alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica  contenute  in
specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5» dello Statuto". 
    Secondo tale decisione, dunque, l'art. 79 dello Statuto  speciale
detterebbe "una specifica disciplina riguardante  il  solo  patto  di
stabilita' interno", mentre "per le altre disposizioni in materia  di
coordinamento della finanza pubblica, la Regione Trentino-Alto  Adige
e le Province autonome si conformano  alle  disposizioni  legislative
statali, legiferando entro  i  limiti  stabiliti  dallo  Statuto,  in
particolare agli articoli  4  e  5".  Di  qui  la  sentenza  trae  la
conclusione che "di conseguenza,  il  citato  art.  79  non  modifica
l'obbligo della Provincia autonoma di  Bolzano  di  adeguare  la  sua
legislazione ai principi di coordinamento della finanza pubblica". 
    Tale giurisprudenza e' stata seguita,  tuttavia  senza  ulteriori
giustificazioni, da ulteriori sentenze: v. le sentt. nn.  127/2014  e
72/2014. 
    In realta', come alla Provincia autonoma di Trento non sembra  si
possa  negare  ad   un   ulteriormente   approfondito   esame   della
disposizione, l'art. 79 St. si occupa del  coordinamento  finanziario
in piu' punti. Esso distingue chiaramente tra norme di  coordinamento
finanziario diretto e  norme  regolatrici  delle  varie  materie  con
finalita' di coordinamento finanziario. 
    L'art. 79, comma 1, prevede che la Provincia faccia  fronte  agli
obblighi di coordinamento finanziario diretto in diversi modi, e  uno
di questi e' il patto di stabilita'. Dunque, il patto  di  stabilita'
non e'  qualcosa  di  alternativo  al  coordinamento  finanziario  ma
contiene regole specifiche di coordinamento finanziario. 
    Il comma 4,  secondo  periodo  (secondo  cui  "la  regione  e  le
province provvedono alle finalita'  di  coordinamento  della  finanza
pubblica  contenute  in  specifiche  disposizioni  legislative  dello
Stato, adeguando la  propria  legislazione  ai  principi  costituenti
limiti ai sensi degli articoli 4 e 5"), invece, si occupa delle norme
sulle diverse materie che abbiano finalita' di coordinamento,  e  per
esse  rinvia  non  ai  criteri  che  valgono  per  il   coordinamento
finanziario relativo alle altre Regioni, ma ai  limiti  specifici  di
ogni materia come indicati dagli artt. 4 e 5 dello Statuto. 
    Dunque, non risulta esatto affermare - in termini generici  -  il
vincolo delle Province autonome ai "principi di  coordinamento  della
finanza pubblica", perche' il vincolo e' espressamente limitato,  per
le materie di potesta' primaria, ai limiti di cui all'art. 4 Statuto. 
    Infatti, i "principi di  coordinamento  della  finanza  pubblica"
costituiscono riferimento alla materia concorrente  di  cui  all'art.
117, terzo comma, Cost. ma, se il significato del secondo periodo del
comma 4 dell'art. 79 fosse quello indicato nella sent.  n.  221/2013,
non avrebbe senso il riferimento che esso  contiene  -  invece  -  ai
limiti propri di  ciascuna  materia  provinciale,  e  dunque  per  le
competenze primarie ai soli limiti di cui all'art. 4 dello Statuto. 
    Proprio tale riferimento convince invece che la disposizione  del
comma 4, secondo periodo, si riferisce alle  norme  statali  che  non
siano direttamente misure di finanza  pubblica  ma  che  regolino  le
diverse  materie  con  "finalita'  di  coordinamento  della   finanza
pubblica": e in relazione a tali norme mantiene la  normale  ampiezza
della potesta' legislativa  provinciale  e  i  normali  rapporti  tra
legislazione provinciale e legislazione statale. 
    Dunque, l'art. 79 contiene diverse norme, e fra  queste  solo  il
comma 3 ed il comma 4, primo periodo,  concernono  specificamente  il
patto di stabilita' interno. 
    Il senso e lo  scopo  generale  della  disposizione  sono  invece
chiariti dal comma 1, che stabilisce chiaramente che "la regione e le
province concorrono al conseguimento degli obiettivi di  perequazione
e di solidarieta' e all'esercizio dei  diritti  e  dei  doveri  dagli
stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,   dal   patto   di
stabilita' interno  e  dalle  altre  misure  di  coordinamento  della
finanza pubblica stabilite  dalla  normativa  statale"  nei  modi  di
seguito specificati. Dunque, l'art. 79 non intende solo  definire  il
modo in cui  la  Provincia  e  lo  Stato  determinano  "gli  obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da conseguire in ciascun periodo". 
    Tali obblighi sono essi stessi - in questa prospettiva - solo una
delle "modalita' di coordinamento della finanza pubblica" con cui  la
Provincia  concorre  all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere
finanziario (v. art. 79, comma 1, lett.  d);  ma  l'art.  79  prevede
anche le altre modalita' (lett.  a),  b)  e  c)  del  comma  1),  che
complessivamente "costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica di cui al comma 1" (art. 79, comma 2, enfasi aggiunta),  fra
i quali, appunto, rientrano gli obiettivi posti - come detto - "dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale". 
    Dunque, anche all'assolvimento degli obblighi derivanti  da  tali
"altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale" le Province autonome concorrono (oltre che con  le
misure  di  cui  alle  lettere  a,  b  e  c)  "con  le  modalita'  di
coordinamento della finanza pubblica definite  al  comma  3",  ed  in
particolare secondo il principio dell'accordo, da esso  definito.  Ne
consegue che non pare esatto  affermare  che  l'art.  79  "detta  una
specifica disciplina riguardante il solo patto di stabilita' interno"
e che le Province autonome restano soggette a tutte le norme  statali
recanti principi di coordinamento della finanza pubblica. Come  detto
espressamente dallo stesso art. 79, comma 2, la disposizione riguarda
anche  e  principalmente  il  concorso  agli  obiettivi  di   finanza
pubblica, che rimane disciplinato dallo stesso art. 79,  sino  a  sua
modifica secondo le regole dell'art. 104 Statuto. 
    Ne risulta l'illegittimita'  delle  restrizioni  apportate  dalle
disposizioni impugnate. 
    In via subordinata, va comunque rilevato che l'art. 8,  comma  4,
non rappresenta neppure un principio di coordinamento  della  finanza
pubblica, in quanto tale disposizione impone  un  vincolo  permanente
("Le stesse riduzioni si applicano, in ragione  d'anno,  a  decorrere
dal 2015") e rigido quanto a risultato quantitativo  da  raggiungere.
Si puo' ricordare che la sent. n. 193/2012 ha dichiarato  illegittimi
l'art. 20, commi 4 e 5, del d.l. n. 98 del 2011, e l'art. 1, comma 8,
del d.l. n. 138 del 2011 perche' facevano venir meno la temporaneita'
dei  contributi  alla  finanza  pubblica,  e   -   tramite   pronunce
sostitutive - ha limitato i tagli al 2014. 
    Ed ovviamente la lesione non viene meno per il fatto che ai sensi
del comma 10 la  ricorrente  Provincia  e'  autorizzata  ad  adottare
"misure  alternative"  di  contenimento  della  spesa  corrente,  che
producano  risparmi  "comunque  non  inferiori":  rimane  infatti  il
meccanismo di  permanente  limitazione  della  spesa  corrente  della
Provincia. 
    Le disposizioni di cui all'art. 8,  comma  4,  6  e  10,  dunque,
violano l'autonomia provinciale di spesa e l'art. 117, comma 3, Cost. 
    II. Quanto sopra esposto si riferisce all'art. 8, commi  4,  6  e
10, nella parte in  cui  essi  limitano  la  spesa  della  Provincia,
costringendola a forzosi risparmi. 
    Qualora, poi, le stesse disposizioni fossero intese -  in  virtu'
del collegamento con l'art. 50, comma 10 (sul quale v. infra)  -  nel
senso di imporre una vera  e  propria  sottrazione  di  risorse  alla
Provincia  autonoma,  mediante  la  loro  acquisizione  al   bilancio
statale, esse violerebbero anche l'art.  75  dello  Statuto,  perche'
risorse affluite al bilancio provinciale in esecuzione di tale  norma
statutaria sarebbero avocate allo Stato in aperto  contrasto  con  lo
Statuto. 
    Inoltre, a giustificare tali  disposizioni  non  potrebbe  valere
neppure la giurisprudenza costituzionale appena  illustrata,  perche'
l'art. 8  non  si  limiterebbe  a  coordinare  la  finanza  pubblica,
limitando la spesa delle Province, ma disporrebbe una vera e  propria
avocazione di risorse dalla Provincia allo Stato.  E  sembra  davvero
evidente  che  le  risorse   che   lo   Statuto,   fonte   di   rango
costituzionale, assegna alla Provincia, non possono essere trasferite
allo Stato mediante fonte avente rango  di  legge  ordinaria,  al  di
fuori di' quanto previsto dallo Statuto stesso. 
    Poiche'  le  norme  in  questione  impongono  alla  Provincia  un
ulteriore contributo alla finanza pubblica in  modo  unilaterale,  in
contrasto con la norma concertata di cui all'art.  79  St.  e  al  di
fuori delle procedure previste dagli  artt.  103,  104  e  107  dello
Statuto, l'art. 8, commi 4, 6 e 10, viola anche le  norme  statutarie
appena citate ed il principio dell'accordo che,  come  risulta  dalla
giurisprudenza costituzionale (v. le sentt.  nn.  82/2007,  353/2004,
39/1984, 98/2000, 133/2010), domina il regime dei rapporti finanziari
fra Stato e Regioni speciali. Tale principio emerge  chiaramente  dal
Titolo VI dello Statuto, dato che le norme di esso sono  modificabili
(salva la legge costituzionale di cui' all'art. 103 St., adottata  su
parere  dei  consigli  provinciali  e  regionale)  solo  "con   legge
ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto
di rispettiva competenza, della regione o delle due  province"  (art.
104) e possono essere  attuate  e  integrate  solo  con  la  speciale
procedura paritetica di cui all'art. 107 St. La procedura  concertata
di cui all'art.  104  e'  stata  appunto  seguita  per  le  modifiche
apportate dalla legge n. 191/2009 e ora l'art. 79, comma  3,  St.  ha
codificato il principio consensuale (comunque  sempre  seguito  dalle
leggi  statali  finanziarie)  per  la  conclusione   del   patto   di
stabilita'.  Le  sentenze  di  codesta  Corte  sopra   citate   hanno
confermato l'essenzialita' e la generalita' del principio consensuale
nella materia dei rapporti finanziari Stato-Regioni speciali, ed esso
e' stato ribadito anche dall'art. 27 legge n. 42/2009. 
    In relazione ai comuni situati in provincia di Trento, l'art.  8,
comma 4, lett.  b),  e  comma  7,  risulta  illegittimo  per  ragioni
corrispondenti a quelle appena esposte (alle quali, dunque, si rinvia
ad integrazione di quello che ora si dira'). 
    L'art.  79,  comma  3,  St.  dispone  che,  "fermi  restando  gli
obiettivi complessivi  di  finanza  pubblica,  spetta  alle  province
stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti
locali", e che "non si applicano le misure adottate per le regioni  e
per gli altri enti nel restante  territorio  nazionale".  Dunque,  lo
Stato  non  puo'  imporre  direttamente  tagli  di  spesa  ai  comuni
trentini, perche' l'art. 79 St. riserva il  potere  di  coordinamento
finanziario alla Provincia. Si noti che,  nel  contesto,  appare  del
tutto ovvio che "le funzioni di coordinamento" di cui si tratta sono,
appunto, le funzioni di  coordinamento  della  finanza  pubblica:  le
medesime di cui si parla al comma 1. 
    Inoltre, l'art. 8, comma 4, lett. b) e comma  7,  lede  anche  la
competenza provinciale in materia di finanza locale,  prevista  dagli
artt. 80 e 81 St. E' da segnalare che l'art. 80 e'  stato  modificato
dall'art. 1, comma 518, legge n. 147/2013 (approvato ai sensi  e  per
gli effetti dell'art. 104 dello Statuto di autonomia), e che in forza
di cio' la competenza in questione ha assunto ora carattere primario.
L'art. 80 e' stato attuato dall'art. 17 d.lgs. n.  268/1992,  il  cui
comma 3 dispone che  "nel  rispetto  delle  competenze  regionali  in
materia di ordinamento dei comuni, le province disciplinano con legge
i criteri  per  assicurare  un  equilibrato  sviluppo  della  finanza
comunale, ivi compresi  i  limiti  all'assunzione  di  personale,  le
modalita' di ricorso  all'indebitamento,  nonche'  le  procedure  per
l'attivita' contrattuale". 
    E'  dunque  illegittima  la  sostituzione  della  legge   statale
nell'esercizio di una competenza propria del legislatore provinciale. 
    La lesione della competenza provinciale  in  materia  di  finanza
locale sarebbe poi aggravata qualora le norme  in  questione  fossero
intese, in virtu' del collegamento con l'art. 50, comma 10, nel senso
di imporre una sottrazione di risorse ai comuni (v. supra):  infatti,
le risorse dei comuni provengono in larga misura dalla Provincia  (v.
l'art. 81, comma 2, St.). 
    Ancora, l'art. 8, comma 4, lett. b) e comma 7,  viola  gli  artt.
103,  104  e  107  St.  ed  il  principio  dell'accordo  in   materia
finanziaria, perche' incide unilateralmente sull'autonomia  di  spesa
dei  comuni  trentini,  in  contrasto  con  il   regime   finanziario
concertato con la Provincia. 
    Infine,  anche  le  norme  de  quibus  non   sono   principi   di
coordinamento della finanza pubblica: oltre al  carattere  permanente
del  limite  e  la  sua  rigida  determinazione  quantitativa   (gia'
censurati supra),  e'  da  sottolineare  che  ai  comuni  non  sembra
applicabile l'art. 8, comma 10 ("Le regioni e le province autonome di
Trento  e  di  Bolzano  possono  adottare   misure   alternative   di
contenimento della spesa corrente  al  fine  di  conseguire  risparmi
comunque non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione del comma
4"), e, dunque, il settore in cui operare i tagli risulta  vincolato:
cio' implica che le norme in questione limitino una voce di  puntuale
di spesa, con ulteriore violazione dell'art. 117, comma  3,  Cost.  e
dell'autonomia di spesa comunale. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter. 
    L'art. 14, comma 1, dispone che, "ad eccezione delle Universita',
degli istituti di formazione, degli enti di ricerca e degli enti  del
servizio sanitario nazionale, fermi restando i limiti derivanti dalle
vigenti  disposizioni  e  in  particolare  le  disposizioni  di   cui
all'articolo 6, comma 7, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,
[...] e all'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n.
101 [...], le amministrazioni pubbliche inserite nel conto  economico
consolidato  della   pubblica   amministrazione,   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  dell'articolo
l, comma 2, della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,  a  decorrere
dall'anno 2014, non possono conferire incarichi di consulenza, studio
e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta  nell'anno  per  tali
incarichi  e'  superiore  rispetto  alla  spesa  per   il   personale
dell'amministrazione che conferisce l'incarico, come  risultante  dal
conto annuale del 2012, al 4,2% per le amministrazioni con  spesa  di
personale pari o inferiore a 5 milioni di euro,  e  all'1,4%  per  le
amministrazioni con spesa di  personale  superiore  a  5  milioni  di
euro". 
    Analogamente, l'art. 14, comma 2, stabilisce che, "ferme restando
le disposizioni di cui ai commi da 6 a 6-quater dell'articolo  7  del
decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165,  e  i  limiti  previsti
dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78
[...], le amministrazioni  pubbliche  inserite  nel  conto  economico
consolidato  della   pubblica   amministrazione,   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  dell'articolo
1, comma 2, della legge 31 dicembre  2009,  n.  196,  con  esclusione
delle Universita',  degli  istituti  di  formazione,  degli  enti  di
ricerca e degli enti del servizio sanitario  nazionale,  a  decorrere
dall'anno 2014, non possono  stipulare  contratti  di  collaborazione
coordinata e  continuativa  quando  la  spesa  complessiva  per  tali
contratti  e'   superiore   rispetto   alla   spesa   del   personale
dell'amministrazione che conferisce l'incarico  come  risultante  dal
conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni con  spesa  di
personale pari o inferiore a 5 milioni di euro,  e  all'1,1%  per  le
amministrazioni con spesa di  personale  superiore  a  5  milioni  di
euro". 
    Come si puo' vedere, mentre il gia' censurato art. 8  impone  una
riduzione predefinita di spesa, la cui entita' e' fissata in  termini
assoluti,  l'art.  14,  commi  1  e  2,  pone   all'acquisizione   di
prestazioni lavorative esterne un tetto massimo di spesa, determinato
in  termini  percentuali  rispetto  alla  spesa  per   il   personale
dipendente. 
    In modo corrispondente a quanto stabilito dall'art. 8, comma  10,
l'art. 14, comma 4-ter, aggiunge che "alle regioni  e  alle  province
autonome di  Trento  e  di  Bolzano,  alle  province  e  alle  citta'
metropolitane e ai  comuni,  e'  comunque  concessa,  in  coerenza  e
secondo le modalita' previste al comma 10 dell'articolo 8 e ai  commi
5 e 12 dell'articolo 47, la facolta' di rimodulare o adottare  misure
alternative  di  contenimento  della  spesa  corrente,  al  fine   di
conseguire  risparmi  comunque  non  inferiori  a  quelli   derivanti
dall'applicazione dei commi 1 e 2 del presente articolo". 
    La disposizione consente dunque  di  superare  il  massimo  posto
all'acquisizione di  prestazioni  esterne,  ma  impone  comunque  una
limitazione della spesa. 
    Dunque, nella  sostanza  l'art.  14,  comma  1,  2  e  4-ter,  ha
struttura analoga rispetto alle norme  dell'art.  8  gia'  impugnate:
anch'esso, infatti, detta norme di coordinamento finanziario  diretto
che, qualora ritenute applicabili in provincia di Trento, si  pongono
in contrasto con l'art. 79 St., per le ragioni esposte nel punto  2),
sottopunto I. 
    Inoltre, le norme in questione violerebbero gli artt. 103, 104  e
107 St. ed il principio dell'accordo in materia  finanziaria,  per  i
motivi illustrati sempre nel punto 2. Infine, esse violerebbero anche
l'art. 117, comma 3, Cost. e l'autonomia provinciale di  spesa,  dato
che anche i limiti di cui all'art. 14 non sono temporanei, in  quanto
operano "a decorrere dall'anno 2014" (v. il comma 1 ed il comma 2). 
    Nella parte in cui le norme in questione si rivolgono  agli  enti
locali trentini, esse violano gli art. 79, comma  3,  80  e  81  St.,
l'art.  17  d.lgs.  n.  268/1992  e  gli  altri  parametri   indicati
nell'ultima parte del motivo n. 2, per le ragioni ivi esposte. 
    Ove poi si dovesse ritenere che il risparmio cosi'  imposto  alla
Provincia ed  ai  suoi  enti  locali  non  costituisce  soltanto  una
limitazione della spesa, ma un trasferimento di risorse  al  bilancio
statale in forza dell'art. 50, comma 10, le impugnate disposizioni di
cui all'art. 14 - in collegamento con quella dell'art. 50, comma 10 -
sarebbero illegittime per le ragioni esposte nel punto 2), sottopunto
II. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 2. 
    L'art. 22, comma 2 (che sostituisce l'art. 4, comma  5-bis,  d.l.
n. 16/2012), prevede che siano individuati con  decreto  ministeriale
"i comuni nei quali,  a  decorrere  dall'anno  di  imposta  2014,  si
applica l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1  dell'articolo
7 del decreto legislativo  30  dicembre  1992,  n.  504,  sulla  base
dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)". La  norma  richiamata
prevede l'esenzione Unici per "i terreni agricoli ricadenti  in  aree
montane o di collina". 
    L'art. 22, comma 2, dispone inoltre che  "dalle  disposizioni  di
cui al presente comma deve derivare un  maggior  gettito  complessivo
annuo non inferiore a 350 milioni di euro a  decorrere  dal  medesimo
anno 2014". Da cio' si ricava che  il  d.m.  deve  ridurre  i  comuni
esenti, cioe' qualificare forzosamente non montani  o  non  collinari
comuni che prima erano considerati tali. 
    La  disposizione  dispone  poi  che  tale  maggior  gettito   sia
recuperato allo Stato, con modalita' differenziate tra i comuni delle
Regioni ordinarie (e Sicilia e Sardegna) e  i  comuni  delle  regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle  province  autonome  di
Trento e di Bolzano: per questi, il  recupero  avviene  "in  sede  di
attuazione del comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201". 
    L'art. 13 d.l. n. 201/2011  regola  l'Anticipazione  sperimentale
dell'Imu ed il comma  17  dispone  che  "con  le  procedure  previste
dall'articolo 27 della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,  le  regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le  Province  autonome
di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero  al  bilancio  statale
del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio
territorio", aggiungendo pero' che, "fino all'emanazione delle  norme
di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari
al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo". 
    L'art. 22, comma 2, e' impugnato nella parte in cui  prevede  una
riduzione dei comuni esenti, in quella in cui dispone che il  maggior
gettito e' avocato al bilancio dello  Stato  e  nella  parte  in  cui
dispone che il recupero del maggior gettito sia "operato, [...] per i
comuni delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle  d'Aosta  e  delle
province autonome di Trento e di Bolzano, in sede di  attuazione  del
comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201". 
    La riserva allo Stato di parte del gettito Imu ed  il  meccanismo
dell'accantonamento  sulle  quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali spettanti alle Province autonome sono gia' stati  contestati
piu' volte da questa Provincia, mediante  impugnazione  del  predetto
art. 13, comma 17, d.l. n. 201/2011 (ricorso n.  34/2012),  dell'art.
1, comma 380, lett. h) legge n. 228/2012 (ricorso  n.  35/2013),  del
d.l. n. 102/2013 (ricorso n. 3/2014), del d.l. n.  133/2013  (ricorso
n. 29/2014) e della legge n. 147/2013 (ricorso  n.  14/2014).  L'art.
22, comma 2, nella parte in  cui  prevede  l'avocazione  del  maggior
gettito e  ribadisce  l'applicazione  del  meccanismo  in  questione,
risulta illegittimo  per  le  ragioni  gia'  esposte  nei  precedenti
ricorsi, che qui sostanzialmente si riproporranno, precisando che  la
sostituzione dell'art. 80 St. ad opera dell'art. 1, comma 518,  legge
n.  147/2013  non  fa  che  avvalorare  tali  censure,  dato  che  la
competenza statutaria provinciale in materia di finanza locale ha ora
assunto rango primario. 
    In primo luogo, pero', l'art. 22, comma 2, e'  illegittimo  nella
parte in cui prevede una riduzione dei comuni esenti,  per  invasione
della potesta' legislativa primaria della  Provincia  in  materia  di
tributi locali. Infatti, l'art. 80  dello  Statuto  (come  modificato
dall'art. 1, comma 518, legge n. 147/2013) stabilisce  quanto  segue:
"1. Le province hanno competenza legislativa in  materia  di  finanza
locale. 2. Nelle materie di competenza, le province possono istituire
nuovi tributi locali. La  legge  provinciale  disciplina  i  predetti
tributi e i tributi locali comunali di natura  immobiliare  istituiti
con legge statale, anche in deroga alla medesima  legge,  definendone
le modalita' di riscossione e puo' consentire  agli  enti  locali  di
modificare le  aliquote  e  di  introdurre  esenzioni,  detrazioni  e
deduzioni. [...] 4. La potesta' legislativa nelle materie di  cui  ai
commi 1  e  2  del  presente  articolo  e'  esercitata  nel  rispetto
dell'articolo 4 e dei vincoli derivanti dall'ordinamento  dell'Unione
europea". 
    Dunque, le esenzioni in materia di  Ici  (ora  di  Imu)  ricadono
chiaramente nella competenza legislativa primaria della Provincia  di
Trento.  L'art.  80  menziona  espressamente   l'introduzione   delle
esenzioni ma pare ovvio che  la  competenza  provinciale  si  estende
anche alla eliminazione di una precedente esenzione,  come  nel  caso
della norma qui impugnata. E' percio' del tutto  illegittimo  che  lo
Stato, addirittura con un d.m. non regolamentare,  vada  ad  incidere
sul regime delle esenzioni dall'Ici nei comuni  trentini:  l'uso  del
d.m. implica anche violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, sia per
la diretta applicabilita' di esso sia perche'  l'art.  2,  d.lgs.  n.
266/1992  preclude  atti  statali  non  legislativi   nelle   materie
provinciali. 
    Che poi la finanza locale sia materia provinciale non puo'  certo
essere dubitato. Essa lo era anche prima della modifica dell'art.  80
Statuto, ma il nuovo  testo,  oltre  a  trasformarla  in  materia  di
potesta' primaria, ne definisce meglio l'ambito. 
    L'art. 80 St., infatti, attribuisce ora al "sistema  provinciale"
una nuova competenza, che consente di scegliere una  manovra  fiscale
complessiva, idonea a favorire  la  crescita  del  sistema  economico
locale. Tale competenza e'  compromessa  se  lo  Stato  riduce  esso,
arbitrariamente, le  esenzioni  di  un  tributo  locale.  E'  chiaro,
infatti, che Provincia e comuni devono tener conto del carico fiscale
dei cittadini, nel momento in cui modulano i tributi locali. 
    E' chiara dunque la violazione dell'art. 80 dello Statuto. 
    L'art. 22, comma 2, e' poi illegittimo nella parte in cui prevede
il "recupero del  maggior  gettito"  a  favore  dello  Stato  (quarto
periodo del nuovo art. 4, comma 5-bis, d.l. n. 16/2012).  Tale  norma
viola sia il succitato art. 80 dello Statuto, perche' si  sostituisce
alla legge provinciale nella disciplina di un tributo  di  competenza
provinciale primaria, sia l'art. 81, comma 2,  dello  Statuto  ("Allo
scopo di adeguare le  finanze  dei  comuni  al  raggiungimento  delle
finalita' e all'esercizio delle funzioni stabilite  dalle  leggi,  le
province di Trento e  di  Bolzano  corrispondono  ai  consumi  stessi
idonei mezzi  finanziari,  da  concordare  fra  il  Presidente  della
relativa Provincia ed  una  rappresentanza  unitaria  dei  rispettivi
comuni"), perche'  la  sottrazione  ai  comuni  di  risorse  ad  essi
destinate incide sulla finanza comunale, che fa parte della  "finanza
allargata"  delle  Province  autonome.  In  altre  parole,  qualunque
manovra statale riguardante  la  finanza  comunale  ha  ripercussioni
sull'autonomia finanziaria della Provincia, che deve  far  fronte  ai
bisogni finanziari dei comuni. 
    Cio' risulta chiaramente dallo stesso art. 22,  comma  2,  che  -
dopo aver previsto il recupero  allo  Stato  del  maggior  gettito  -
dispone che, nelle autonomie speciali dotate di competenza in materia
di finanza locale,  tale  recupero  avvenga  mediante  il  meccanismo
dell'accantonamento  sulle  quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali spettanti alle Province  autonome.  In  sostanza,  lo  Stato
prevede un maggior gettito di un tributo locale, dispone l'avocazione
a se' di tale maggior  gettito  ma  poi  pretende  di  trattenere  le
corrispondenti risorse sugli importi che spettano alla  Provincia  in
base allo Statuto. 
    La  previsione  dell'accantonamento  si   pone   chiaramente   in
contrasto con l'art. 75 dello  Statuto  e  con  l'art.  9  d.lgs.  n.
268/1992, perche' pretende di avocare allo Stato risorse di spettanza
provinciale, al di fuori dei casi previsti.  Non  sussiste,  infatti,
alcuna delle condizioni di cui all'art.  9  d.lgs.  n.  268/1992:  il
maggior  gettito  non  deriva  "da  maggiorazioni   di   aliquote   o
dall'istituzione di nuovi tributi" (ma  dalla  esclusione  di  alcuni
comuni dall'esenzione), non e' destinato per legge alla copertura "di
nuove  specifiche  spese",  non  e'  temporalmente   delimitato   ("a
decorrere dal... 2014") e non e'  "contabilizzato  distintamente  nel
bilancio statale". 
    E' evidente che le risorse che lo Statuto  prevede  come  entrate
provinciali sono cosi'  stabilite  perche'  esse  vengano  utilizzate
dalla Provincia per lo svolgimento delle sue funzioni costituzionali,
e   non    perche'    esse    vengano    "accantonate".    L'istituto
dell'accantonamento  non  ha  nel  sistema  statutario   cittadinanza
alcuna. 
    Inoltre,  l'art.  22,  comma  2,  viola  l'art.  79  St.  perche'
l'avocazione e' disposta con il fine del concorso agli  obiettivi  di
finanza pubblica, mentre la norma  statutaria  configura  un  sistema
completo di concorso delle Province a tali obiettivi, non  derogabile
se non con le modalita' previste  dallo  Statuto,  come  testualmente
afferma l'art. 79, comma 2. Statuto (v.  altresi'  il  motivo  n.  2,
sottopunto I). 
    Ancora, la norma impugnata viola il  principio  dell'accordo  che
regola i rapporti fra Stato e Regioni speciali in materia finanziaria
(v. il motivo n. 2, sottopunto II). 
    L'art. 22, comma 2, viola poi gli  artt.  103,  104  e  107  St.,
proprio perche' pretende di derogare agli artt. 75  e  79  St.  e  al
d.lgs. n. 268/1992 con una fonte primaria "ordinaria". 
    L'art. 107 St. e' violato anche perche' l'art. 13, comma 17, d.l.
n. 201/2011  (richiamato  dalla  norma  qui  impugnata)  pretende  di
vincolare unilateralmente il contenuto delle norme di attuazione. 
    Infine, l'art. 22, comma 2, viola  sostanzialmente  anche  l'art.
75, lett. g), dello Statuto, che attribuisce alla Provincia  "i  nove
decimi di tutte le  altre  entrate  tributarie  erariali,  dirette  o
indirette, comunque denominate". Infatti, anche se la norma impugnata
adotta un meccanismo elusivo ed irragionevole (v. intra), la  realta'
e' che una quota dell'Imu (relativa a certi terreni e a certi comuni)
e' riservata allo Stato e, dunque, e' un'entrata "erariale". Infatti,
se una quota di Imu e' riservata allo  Stato,  essa  rientra  tra  le
"entrate  tributarie  erariali,   dirette   o   indirette,   comunque
denominate", di cui all'art. 75, comma 1, lett. g), St., il cui senso
e' esattamente quello di riservare al sistema locale i nove decimi di
tutte le entrate tributarie destinate in via generale allo Stato. 
    In questi termini, i nove decimi del maggior  gettito  dovrebbero
spettare alla Provincia,  ai  sensi  dell'art.  75  Statuto:  percio'
l'art. 22, comma 2, si pone in contrasto  con  l'art.  75,  comma  1,
lett. g) dello Statuto. 
    Sia   consentito,   da   ultimo,   evidenziare   la   complessiva
irragionevolezza del meccanismo predisposto dall'art.  22,  comma  2.
Mentre le norme impugnate con i ricorsi  di  questa  Provincia  sopra
citati prevedevano il versamento di parte dell'Imu  allo  Stato,  con
depauperamento diretto dei comuni e  indiretto  della  Provincia,  la
norma de qua dispone un maggior gettito  Imu  ma,  irragionevolmente,
stabilisce  che  lo  Stato  riceva  l'importo  corrispondente   dalla
Provincia.  Poiche'  non  c'e'  alcuna  ragione  logica   che   possa
giustificare tale meccanismo, la  norma  risulta  irragionevole,  con
ulteriore lesione indiretta dell'autonomia legislativa e  finanziaria
della Provincia (artt. 80 e 81 St.). 
5) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 46, commi 1, 2, 3 e 6. 
    I. L'art. 46, comma 1,  stabilisce  che  "le  Regioni  a  statuto
speciale e le province autonome, in conseguenza dell'adeguamento  dei
propri  ordinamenti  ai  principi  di  coordinamento  della   finanza
pubblica, introdotti dal presente decreto, assicurano  un  contributo
alla finanza pubblica pari a quanto previsto nei commi 2 e 3". 
    Come si vede, il comma 1 non ha di per se' un contenuto autonomo,
limitandosi a "qualificare" il  "contributo  alla  finanza  pubblica"
previsto dai commi 2  e  3  come  "conseguenza  dell'adeguamento  dei
propri  ordinamenti  ai  principi  di  coordinamento  della   finanza
pubblica". 
    Ora, sulla problematica generale del rapporto tra lo Statuto,  ed
in particolare l'art. 79, e  la  questione  del  coordinamento  della
finanza pubblica sia consentito di rinviare alle ragioni gia' esposte
nel motivo n. 2 (sottopunto I) del presente ricorso. 
    Comunque sia di queste, pero', i commi 2 e 3  sono  autonomamente
illegittimi per le ragioni di seguito esposte. 
    II. Il comma 2 modifica l'art. 1, comma 454, legge  n.  228/2012.
In particolare, e' sostituita la Tabella di cui al comma  454,  lett.
d), che ora prevede, per le Province autonome, un aumento  del  saldo
programmatico dell'esercizio 2011 di 42 milioni per l'anno 2014 e  di
59 milioni per gli anni dal 2015 al 2017 (prima il comma 454, dopo la
modifica operata dal comma 499 dell'art. 1 della legge  n.  147/2013,
prevedeva, rispettivamente, un aumento di 25 e  di  34  milioni).  Il
comma 454 si riferisce anche alle  Province  autonome  in  virtu'  di
quanto disposto dall'art. 1,  comma  455,  legge  n.  228/2012,  come
modificato dall'art. 1, comma 500, legge n. 147/2013. 
    La ricorrente Provincia autonoma  ha  gia'  impugnato,  nel  gia'
ricordato ricorso avverso la legge n. 147/2013, sia il comma 499  che
il comma 500 dell'art. 1 legge  n.  147/2013.  L'art.  46,  comma  2,
aggrava la lesione prodotta dalle suddette norme, dal punto di  vista
quantitativo, ed e' dunque affetto dai medesimi vizi. 
    L'accoglimento delle censure prospettate nei  precedenti  ricorsi
priverebbe quanto ora previsto dall'art. 46, comma 2, del d.l. n.  66
del 2014 del  proprio  oggetto  e  del  proprio  contesto  normativo,
rendendolo inapplicabile. 
    Per tuziorismo, si riportano comunque, riferendole  ad  esso,  le
censure gia' rivolte all'art. 1, comma 499 e 500, legge n.  147/2013,
a loro volta corrispondenti a quelle rivolte alla versione originaria
del comma 455 (e 456) nel ricorso n. 35/2013: 
    Il comma 455 dispone che, "al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione Trentino-Alto  Adige  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano concordano con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni  dal  2013  al
2016, il saldo  programmatico  calcolato  in  termini  di  competenza
mista, determinato aumentando il saldo  programmatico  dell'esercizio
2011: a) degli importi indicati per il  2013  nella  tabella  di  cui
all'articolo 32, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n.  183;  b)
del contributo previsto dall'articolo 28, comma 3, del  decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201... come rideterminato dall'articolo 35, comma
4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1,...  e  dall'articolo  4,
comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16...; c) degli  importi
indicati nel decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,
relativi al 2013, 2014, 2015 e 2016  [ora  anche  2017],  emanato  in
attuazione dell'articolo 16, comma  3,  del  decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95,...; [ora anche "d) degli importi indicati nella  tabella
di cui al comma 454"] d)  [ora  d-bis)]  degli  ulteriori  contributi
disposti a carico delle autonomie speciali". A tale fine,  "entro  il
31 marzo di  ciascun  anno,  il  presidente  dell'ente  trasmette  la
proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze". 
    Il comma 456 stabilisce che, "in caso di mancato accordo  di  cui
ai commi 454 e 455 entro  il  31  luglio,  ...  gli  obiettivi  della
regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e  di
Bolzano  sono  determinati   applicando   agli   obiettivi   definiti
nell'accordo relativo al 2011 i contributi previsti dal comma 455". 
    Dunque, il comma 455 prevede in teoria l'accordo tra la Provincia
ed il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  per  il  patto  di
stabilita', ma in realta' stabilisce  unilateralmente  che  il  saldo
programmatico  "determinato   aumentando   il   saldo   programmatico
dell'esercizio 2011" dei contributi  previsti  da  alcune  leggi.  Il
comma  456  conferma  il  carattere  illusorio  della  determinazione
concordata del patto, in quanto rende facoltativo l'accordo. 
    I commi 455 e 456 violano, in primo luogo, l'art.  79,  comma  3,
primo periodo dello Statuto (secondo il quale "al fine di  assicurare
il concorso agli obiettivi di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le
province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli
obblighi relativi al patto di stabilita' interno con  riferimento  ai
saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo"), che assicura la
natura pattizia della regolazione degli obblighi relativi al patto di
stabilita' interno. 
    Inoltre,  essi  violano  il  principio  dell'accordo  in  materia
finanziaria, risultante dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze
n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e  n.
133 del 2010)" [su cio' v. il punto 2, sottopunto  II,  del  presente
ricorso]. 
    Risulta dunque evidente, per i motivi indicati,  l'illegittimita'
costituzionale anche dell'art. 46,  comma  2,  d.l.  n.  66/2014,  in
quanto utilizza i medesimi illegittimi meccanismi normativi. 
    III. Il comma 3 dell'art. 46 sostituisce  l'art.  1,  comma  526,
legge n. 147/2013, gia' impugnato  da  questa  Provincia.  Nel  testo
modificato la disposizione stabilisce che, "con le procedure previste
dall'articolo 27 della legge 5 maggio  2009,  n.  42,  le  regioni  a
statuto speciale e le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
assicurano un ulteriore concorso alla finanza pubblica per  l'importo
complessivo di 440 milioni di euro per l'anno 2014 e di  300  milioni
di euro per ciascuno degli anni dal  2015  al  2017",  e  che,  "fino
all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto  articolo
27, l'importo del concorso complessivo di cui al  primo  periodo  del
presente  comma   e'   accantonato,   a   valere   sulle   quote   di
compartecipazione ai tributi erariali, secondo gli importi  indicati,
per ciascuna regione a statuto speciale e provincia  autonoma,  nella
tabella seguente [...]", dalla quale risulta,  per  la  Provincia  di
Trento, un importo di 36.507.000 e per il 2014 e di 24.891.000  € per
gli anni 2015-2017.  La  nuova  norma,  dunque,  aggrava  la  lesione
arrecata dall'originario art. 1, comma 526, sia dal  punto  di  vista
temporale (il comma 526 riguardava solo il 2014, mentre ora a  questo
si aggiungono ulteriori tre anni)  sia  da  quello  quantitativo  (la
tabella prevedeva, per la Provincia di  Trento  e  per  il  2014,  un
accantonamento di 19.913.000 euro). Contro di esso,  dunque,  valgono
le censure gia' svolte contro l'art. l, comma 526, legge n. 147/2013,
che di seguito comunque si riformulano. 
    In effetti, anche il nuovo comma 526  prevede  una  riduzione  di
spesa a carico delle Regioni speciali ed  un  rinvio  alle  norme  di
attuazione per l'attuazione di tale previsione; inoltre, esso dispone
sempre - in attesa delle norme  di  attuazione  -  un  accantonamento
sulle quote di compartecipazione  ai  tributi  erariali  e  reca  una
tabella che determina la somma da accantonare. 
    Esso dunque viola gli artt. 75, 79, 103, 104 e 107 dello  Statuto
speciale, il principio dell'accordo in materia finanziaria  e  l'art.
2, comma 108, legge n. 191/2009. 
    E' innanzi tutto violato l'art. 79 St., per i motivi gia' esposti
nel punto 2, sottopunto I, del presente ricorso, in quanto si dispone
un concorso della Provincia al risanamento della finanza statale,  al
di la' di quanto previsto dalla norma statutaria,  che  definisce  in
modo esaustivo gli strumenti  con  cui  la  Provincia  concorre  agli
obiettivi di finanza pubblica. Indipendentemente da  cio',  il  comma
526 (come modificato dall'art. 46, comma 3, d.l. n.  66/2014)  altera
unilateralmente  l'assetto  dei  rapporti  finanziari  tra  Stato   e
Provincia di Trento, violando il principio  dell'accordo  che  domina
tali rapporti e gli artt. 103, 104 e 107 dello Statuto, per i  motivi
gia' esposti nel punto 2, sottopunto II, del presente ricorso. 
    Anche il rinvio alle  norme  di  attuazione  e'  illegittimo,  in
quanto l'art. 79  e'  modificabile  solo  con  la  procedura  di  cui
all'art. 104 St. e non in sede di attuazione. Inoltre,  la  norma  in
questione determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le
norme di attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare
fittizio e contrasta con l'art. 107 St. 
    Infine, la previsione dell'accantonamento viola l'art.  75,  dato
che le somme da esso garantite alla Provincia  vengono  indebitamente
ridotte. Esso viola altresi' l'art. 2, comma 108, legge  n.  191/2009
(approvato ai sensi dell'art. 104 St.: v. l'art. 2, comma 106,  legge
n. 191/2009), che, nel dare attuazione all'art. 75 St., ha  stabilito
che  "le  quote  dei  proventi  erariali   spettanti   alla   regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol e alle province autonome di Trento e  di
Bolzano ai sensi degli articoli  69,  70  e  75"  dello  Statuto,  "a
decorrere dal 1° gennaio 2011,  sono  riversate  dalla  struttura  di
gestione individuata  dall'articolo  22  del  decreto  legislativo  9
luglio 1997, n. 241, per i tributi oggetto di versamento unificato  e
di compensazione, e dai soggetti a cui  affluiscono,  per  gli  altri
tributi, direttamente alla regione e alle province autonome sul conto
infruttifero,  intestato  ai  medesimi  enti,  istituito  presso   la
tesoreria provinciale dello Stato, nei modi e nei tempi  da  definire
con apposito decreto del  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,
adottato previa intesa con la regione e le province autonome". 
    Sono  dunque  lesivi  e  costituzionalmente  illegittimi  sia  il
principio stesso del trasferimento di risorse provinciali allo Stato,
sia le modalita' applicative, nei termini sopra esposti. 
    Va espressamente notato che,  benche'  la  rubrica  dell'art.  46
parli di concorso  delle  regioni  e  delle  province  autonome  alla
"riduzione della spesa pubblica", la  previsione  dell'accantonamento
si traduce - ben  oltre  la  semplice  riduzione  -  in  una  forzosa
acquisizione allo Stato delle risorse che  lo  statuto  di  autonomia
garantisce alla Provincia autonoma. Tale, e non altro, e' infatti  il
significato del passaggio di risorse da tali autonomie speciali  allo
Stato. La lesione si raddoppia:  alla  violazione  dell'autonomia  di
spesa si somma l'illegittima sottrazione di risorse. 
    E' dunque costituzionalmente illegittimo - per diretta violazione
dell'art.  75  dello  Statuto  -  il   principio   stesso   di   tale
acquisizione. Infatti l'art. 75 St. attribuisce alle  Province  quote
del gettito di determinate entrate tributarie dello Stato,  percepite
nei rispettivi territori provinciali, e poi "nove decimi di tutte  le
altre entrate tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,  comunque
denominate" (comma  1,  lett.  g),  affinche'  queste  vengano  spese
nell'esercizio  delle  funzioni  e  competenze  costituzionali  della
Provincia stessa, e non affinche' lo Stato ne possa  disporre  a  suo
piacimento. 
    Oltre a prevedere  unilateralmente  un  ulteriore  concorso  alla
finanza pubblica, in violazione dell'art. 79 St., a predeterminare il
contenuto delle norme di attuazione (in contrasto con l'art. 107 St.)
e a disporre un accantonamento (in contrasto con l'art. 75  St.),  il
comma 526 non precisa il criterio di riparto dell'ulteriore  concorso
tra le diverse autonomie speciali e, in tal modo,  non  consente  una
verifica di proporzionalita' del riparto stesso.  In  subordine  alle
censure principali va percio' rilevato che, cosi' operando, il  comma
526 viola l'art. 3 Cost. (principio di  ragionevolezza)  e  che  tale
violazione si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria della
Provincia. 
    IV. L'art. 46, comma 6, d.l. n. 66/2014 dispone che "le Regioni e
le  Province  autonome  di   Trento   e   Bolzano,   in   conseguenza
dell'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di  coordinamento
della finanza pubblica introdotti dal presente decreto e a valere sui
risparmi  derivanti   dalle   disposizioni   ad   esse   direttamente
applicabili  ai  sensi  dell'articolo  117,  comma   secondo,   della
Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica  pari  a
500 milioni di euro per l'anno 2014 e di  750  milioni  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2015 al  2017,  in  ambiti  di  spesa  e  per
importi  proposti  in  sede  di  autocoordinamento  dalle  regioni  e
province autonome medesime, tenendo  anche  conto  del  rispetto  dei
tempi di  pagamento  stabiliti  dalla  direttiva  2011/7/UE,  nonche'
dell'incidenza degli acquisti centralizzati, da recepire  con  Intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,  entro  il  31
maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed  entro  il  31  ottobre
2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti". Dispone inoltre che
in assenza "di tale intesa entro i predetti termini, con decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,   da   adottarsi,   previa
deliberazione del Consiglio  dei  ministri,  entro  20  giorni  dalla
scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad
ambiti di  spesa  ed  attribuiti  alle  singoli  regioni  e  Province
autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto  del  Pil  e  della
popolazione residente, e sono eventualmente rideterminati  i  livelli
di  finanziamento  degli  ambiti  individuati  e  le   modalita'   di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato". 
    Tale disposizione e' stata attuata, con riferimento al 2014,  con
intesa del 29 maggio 2014, recepita con d.m. del 26 giugno  2014,  in
base al quale, "per  l'anno  2014,  il  contributo  delle  Regioni  a
statuto ordinario in termini di saldo  netto  da  finanziare  per  un
importo complessivamente  pari  a  500  milioni  di  euro,  ai  sensi
dell'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014,  n.  66,  e'
realizzato mediante la riduzione delle seguenti risorse:  a)  risorse
destinate all'acquisto di materiale rotabile su gomma e di  materiale
rotabile ferroviario, nonche' di vaporetti e  ferry-boat...  per  300
milioni di euro; b) Fondo per lo  sviluppo  e  la  coesione...  sulla
programmazione 2007-2013 per 200 milioni di euro". 
    Dunque, l'art. 46, comma 6, contemplerebbe  un  contributo  anche
delle  Regioni  speciali  ma,  con  riferimento  al  2014,  gli  atti
attuativi hanno previsto solo un contributo delle Regioni  ordinarie:
probabilmente essendosi  resi  conto,  in  sede  di  attuazione,  che
l'ulteriore inclusione delle autonomie  speciali  era  dovuto  ad  un
lapsus del legislatore, data l'evidente duplicazione - che altrimenti
si sarebbe verificata - con la contribuzione gia' prevista  per  esse
dal comma 3. 
    In ogni modo, la previsione dell'art. 46, comma 6, e' essa stessa
illegittima, nella parte in cui  include  la  Provincia  autonoma  di
Trento, sotto diversi profili. 
    Intanto, la' dove presuppone la  soggezione  della  Provincia  di
Trento  ai  "principi  di  coordinamento  della   finanza   pubblica,
introdotti dal presente decreto", e' illegittima per le ragioni  gia'
esposte nel motivo n. 2 (sottopunto I) del presente ricorso. 
    In secondo luogo, essa, la' dove  menziona  le  "disposizioni  ad
esse direttamente  applicabili  ai  sensi  dell'articolo  117,  comma
secondo, della Costituzione", viola l'art. 10  l.  cost.  3/2001,  in
base al quale le disposizioni della l. cost. 3/2001 si applicano alle
Regioni speciali solo la' dove siano piu' favorevoli. Poiche'  l'art.
117, comma 2,  Cost.  prevede  le  materie  di  competenza  esclusiva
statale, in termini  generali  e'  a  priori  escluso  che  esso  sia
applicabile alle Regioni speciali. Per essere poi piu' precisi,  esso
e' suscettibile di  applicarsi  alle  autonomie  speciali  quando  le
competenze statali siano soltanto il risvolto negativo di  una  nuova
competenza derivante alle autonomie speciali dalla riforma del Titolo
V del 2001: ma e' chiaro che il legislatore del d.l. n.  66/2014  non
aveva in mente simili sottigliezze, e si riferiva illegittimamente  a
competenze statali esercitabili come tali in qualunque  degli  ambiti
di cui all'art. 117, secondo comma, Cost. 
    L'art. 46, comma 6, poi, viola l'art. 79 St. perche'  prevede  un
ulteriore contributo alla finanza pubblica da parte  della  Provincia
di Trento, al di  la'  di  quanto  previsto,  in  termini  esaustivi,
dall'art.  79  stesso  in  relazione  al  concorso  provinciale  agli
obiettivi di finanza pubblica (v.  il  punto  2,  sottopunto  I,  del
presente  ricorso).   Inoltre,   la   norma   in   questione   altera
unilateralmente  l'assetto  dei  rapporti  finanziari  tra  Stato   e
Provincia di Trento, violando il principio  dell'accordo  che  domina
tali rapporti e gli artt. 103, 104 e 107 dello Statuto, per i  motivi
gia' esposti nel punto 2, sottopunto II, del presente ricorso. 
    Ne' tale conclusione potrebbe essere mutata per il fatto  che  il
d.P.C.m. di cui all'ultimo periodo dell'art. 46, comma 6, deve  tener
conto "del Pil e della popolazione residente", potendo  dunque  avere
anche carattere perequativo. Infatti, l'art. 79 dello Statuto  regola
anche gli strumenti con cui le Province "concorrono al  conseguimento
degli obiettivi di perequnione e di solidarieta' e all'esercizio  dei
diritti e dei doveri dagli  stessi  derivanti".  Dunque,  l'art.  46,
comma 6, contrasta in particolare  con  l'art.  79,  comma  1,  dello
Statuto speciale, in quanto, introducendo ulteriori forme di concorso
alla finanza pubblica ed una ulteriore intesa per la  quantificazione
del  rispettivo  concorso  a  livello   regionale,   anche   a   fini
perequativi, non e' compatibile con l'accordo gia' concluso  a  norma
dell'articolo 104 dello Statuto speciale, anche per  il  concorso  al
conseguimento degli obiettivi di perequazione ai sensi  del  predetto
comma 1 dell'articolo 79 dello Statuto. 
    Ulteriormente, ed in subordine a quanto ora detto, e' illegittima
la previsione di termini decorsi  i  quali  passa  direttamente  allo
Stato il potere di unilaterale decisione degli stessi oggetti rimessi
all'intesa. Si tratta infatti di una previsione che rende  totalmente
virtuale la stessa previsione dell'intesa, e rimette in realta'  ogni
decisione allo Stato. Ne' tale passaggio di poteri puo' giustificarsi
in  forza  dell'art.  120  Cost.,  sia  per  difetto   dei   relativi
presupposti (non  essendo  affatto  in  gioco  l'unita'  giuridica  o
economica del paese), sia in quanto - come codesta ecc.ma Corte cost.
ha sottolineato - lo stesso  art.  120  si  applica  alla  ricorrente
Provincia solo al di fuori delle materie di  garanzia  diretta  dello
Statuto,  acquisite  in  forza  del  riformato  Titolo  V  (sent.  n.
236/2004). 
    E' da sottolineare che, secondo l'ultimo  periodo  dell'art.  46,
comma 6, in mancanza di intesa in sede di  Conferenza  Stato-Regioni,
lo Stato non  solo  determina  gli  importi  spettanti  alle  singole
regioni ma li assegna anche "ad ambiti di spesa", cosi  condizionando
in modo ancora piu' grave l'autonomia di spesa  della  Provincia,  in
contrasto anche con l'art. 117, comma 3, Cost., in base al  quale  lo
Stato non  puo',  in  sede  di  coordinamento  finanziario,  limitare
specifiche voci di spesa. 
    Inoltre, la previsione del  d.P.C.m.  in  questione  implica  una
violazione dell'art. 117, comma 6, Cost.  e  dell'art.  2  d.lgs.  n.
266/1992, che precludono l'adozione di  atti  statali  sublegislativi
nelle materie di competenza concorrente  (come  e'  il  coordinamento
della finanza pubblica). Ancora, l'ultimo periodo dell'art. 46, comma
6, viola il principio di leale collaborazione la'  dove  non  prevede
che l'adozione del  d.P.C.m.  avvenga  con  il  coinvolgimento  delle
Regioni. 
    Si sono sin qui contestate talune delle previsioni dell'art.  46,
comma 6,  in  quanto  esse  impongono  un  "contributo  alla  finanza
pubblica" in termini di riduzione di spesa. Tuttavia, la parte finale
della disposizione, la' dove fa riferimento alla rideterminazione dei
"livelli di finanziamento degli ambiti individuati" e alle "modalita'
di acquisizione delle risorse da parte dello Stato", induce a pensare
che la disposizione potrebbe intendere tali riduzioni di  spesa  come
trasferimenti di risorse al bilancio dello Stato. 
    In questo caso, la norma  sarebbe  ulteriormente  ed  ancor  piu'
gravemente illegittima per violazione  dell'art.  75  dello  Statuto,
anche in collegamento con l'art. 79, in quanto  questo  definisce  le
misure con le quali la Provincia autonoma concorre "agli obiettivi di
finanza pubblica" (comma 2), e di tutte le ulteriori disposizioni che
assicurano le entrate  e  l'autonomia  finanziaria  della  ricorrente
Provincia. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 47, commi 8, 9,  11  e
12. 
    L'art.  47  regola  il  Concorso  delle  province,  delle  citta'
metropolitane e dei comuni alla riduzione della spesa  pubblica.  Per
la  provincia  di  Trento,  tale  disposizione  -  qualora   ritenuta
applicabile nonostante la clausola di salvaguardia  di  cui  all'art.
50-bis - rileva solo in relazione ai comuni. 
    Il comma 8 dell'art. 47 dispone  che  "i  comuni,  a  valere  sui
risparmi connessi alle misure indicate  al  comma  9,  assicurano  un
contributo alla finanza pubblica pari a 375,6  milioni  di  euro  per
l'anno 2014 e 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal  2015
al 2017", e che, "a tal fine, il fondo di solidarieta' comunale, come
determinato ai sensi dell'articolo 1, comma 380-ter  della  legge  24
dicembre 2012, n. 228, e' ridotto di 375,6 milioni di curo per l'anno
2014 e di 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal  2015  al
2017". 
    In base al comma 9, "gli importi delle riduzioni di  spesa  e  le
conseguenti riduzioni di cui al  comma  8  per  ciascun  comune  sono
determinati con decreto del Ministro dell'interno da emanare entro il
termine del 30 giugno, per l'anno 2014 e del 28 febbraio per gli anni
successivi, sulla base dei seguenti criteri: a)  per  quanto  attiene
agli interventi di cui all'articolo 8, relativi alla riduzione  della
spesa per beni e  servizi,  la  riduzione  e'  operata  nella  misura
complessiva di 360 milioni di euro per il 2014 e di  540  milioni  di
curo per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, proporzionalmente alla
spesa media, sostenuta nell'ultimo triennio, relativa ai codici SIOPE
indicati nella tabella A allegata al presente decreto [...];  b)  per
quanto attiene agli interventi di cui all'articolo 15, relativi  alla
riduzione della spesa per autovetture di 1,6  milioni  di  curo,  per
l'anno 2014, e di 2,4 milioni di curo per  ciascuno  degli  anni  dal
2015 al 2017, la riduzione e' operata in  proporzione  al  numero  di
autovetture possedute da ciascun  comune  comunicato  annualmente  al
Ministero dell'interno dal Dipartimento della Funzione  Pubblica;  c)
per quanto attiene agli interventi di cui  all'articolo  14  relativi
alla riduzione della spesa per  incarichi  di  consulenza,  studio  e
ricerca  e  per  i   contratti   di   collaborazione   coordinata   e
continuativa, di 14 milioni di curo, per l'anno 2014 e di 21  milioni
di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al  2017,  la  riduzione  e'
operata  in  proporzione   alla   spesa   comunicata   al   Ministero
dell'interno dal Dipartimento della Funzione Pubblica". 
    Il comma 11 statuisce che, "in caso di incapienza, sulla base dei
dati comunicati dal Ministero dell'interno, l'Agenzia  delle  Entrate
provvede al recupero delle predette somme nei  confronti  dei  comuni
interessati all'atto del riversamento agli stessi comuni dell'imposta
municipale  propria  di  cui  all'articolo  13  del  decreto-legge  6
dicembre 2011, n. 201". Le somme "recuperate sono versate ad apposito
capitolo  dell'entrata  del  bilancio  dello  Stato  ai  fini   della
successiva riassegnazione  al  pertinente  capitolo  dello  stato  di
previsione del Ministero dell'interno". 
    Infine, il comma 12 dispone che "i Comuni  possono  rimodulare  o
adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente,  al
fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti
dall'applicazione del comma 9". 
    Sembra in primo luogo evidente che, applicando le normali  regole
di interpretazione, le disposizioni sopra esposte non sono  destinate
ad applicarsi ai comuni trentini, la cui condizione  di  specialita',
sotto il profilo della regolazione della finanza, deriva  dalla  gia'
illustrata competenza primaria della Provincia, disposta dagli  artt.
79, comma 3, 80 e 81 dello Statuto. 
    Tale interpretazione e' poi avvalorata, oltre che dalla  clausola
di salvaguardia di cui all'art. 50-bis, dal fatto  che  il  Fondo  di
solidarieta' (che, in base all'art. 47, comma 8, si  riduce  in  modo
corrispondente ai risparmi imposti ai comuni)  non  e'  destinato  ai
comuni della provincia di Trento (v. l'art. 1, comma  382,  legge  n.
228/2012: "Entro il 28 febbraio 2013 il Ministero dell'interno  eroga
ai comuni delle Regioni  a  statuto  ordinario  ed  ai  comuni  della
Regione Siciliana e della Regione Sardegna un importo,  a  titolo  di
anticipo su quanto spettante per l'anno 2013 a  titolo  di  Fondo  di
solidarieta' comunale"). 
    Dunque, i commi 8, 9, 11 e 12 dell'art. 47 sono qui impugnati  in
via meramente  prudenziale,  qualora  si  ritenga  che  il  comma  8,
riferendosi genericamente  ai  "comuni",  sia  applicabile  anche  ai
comuni trentini. 
    In  questo  caso,  sarebbe  chiaro  il  contrasto  tra  le  norme
impugnate e l'art. 79, comma 3, dello Statuto speciale.  Infatti,  le
norme sopra riportate impongono ai comuni di  operare  una  riduzione
delle spese la cui entita' e' determinata nel complesso dalla  stessa
legge, e sara' determinata per i singoli enti locali  da  un  decreto
del Ministro dell'interno. 
    L'art.  79,  comma  3,  St.  dispone  che,  "fermi  restando  gli
obiettivi complessivi  di  finanza  pubblica,  spetta  alle  province
stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti
locali", e che "non si applicano le misure adottate per le regioni  e
per gli altri enti nel restante  territorio  nazionale".  Dunque,  lo
Stato  non  puo'  imporre  direttamente  tagli  di  spesa  ai  comuni
trentini, perche' l'art. 79 St. riserva il  potere  di  coordinamento
finanziario alla Provincia. 
    Inoltre, i commi 8, 9, 11 e 12 dell'art. 47 lederebbero anche  la
competenza provinciale in materia di finanza locale,  prevista  dagli
artt. 80 e 81  St.  (competenza  che,  per  effetto  delle  modifiche
introdotte nell'art. 80 dall'art. 1, comma 518, legge n. 147/2013, ha
assunto ora carattere primario). L'art. 80 e' stato attuato dall'art.
17 d.lgs. n. 268/1992, il cui comma 3 dispone che "nel rispetto delle
competenze  regionali  in  materia  di  ordinamento  dei  comuni,  le
province  disciplinano  con  legge  i  criteri  per   assicurare   un
equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi  compresi  i  limiti
all'assunzione   di    personale,    le    modalita'    di    ricorso
all'indebitamento,   nonche'    le    procedure    per    l'attivita'
contrattuale". 
    Sarebbe dunque illegittima la sostituzione  della  legge  statale
nell'esercizio di una competenza propria del legislatore provinciale. 
    In definitiva, la Provincia e' competente sia per  la  disciplina
del patto di stabilita' dei rispettivi enti locali sia per  le  forme
di finanziamento dei medesimi, ragion  per  cui  sarebbe  chiaramente
lesiva una disciplina che mira ad imporre una riduzione  delle  spese
comunali e, in alternativa ("in caso  di  incapienza"),  prevede  che
l'Agenzia delle Entrate provveda "al recupero  delle  predette  somme
nei confronti dei comuni interessati all'atto del  riversamento  agli
stessi comuni dell'imposta municipale propria"  di  cui  all'art.  13
d.l.  n.  201/2011  (art.   47,   comma   11).   Quest'ultima   norma
risulterebbe, in particolare, illegittima per le ragioni gia' esposte
con riferimento all'art. 22, comma 2, che pure devolve allo Stato una
parte del gettito Imu. 
    Inoltre, i commi 9 e 11, in quanto attribuiscono a organi statali
funzioni che si  sovrapporrebbero  con  le  competenze  degli  organi
provinciali, sarebbero altresi' in contrasto con l'articolo 4  d.lgs.
n. 266/1992, poiche' quest'ultimo, nelle materie di competenza  delle
Province  autonome,  riserva  ad  esse  ed   ai   rispettivi   organi
l'esercizio delle correlative funzioni amministrative. 
    In via ulteriormente subordinata, sempre per l'inopinata  ipotesi
che la disposizione risultasse  applicabile  anche  ai  comuni  della
ricorrente Provincia, sarebbe inoltre illegittima la disposizione  di
cui al comma 9, secondo la quale  "gli  importi  delle  riduzioni  di
spesa e le conseguenti riduzioni di cui al comma 8 per ciascun comune
sono determinati con decreto del Ministro dell'interno", nei  termini
temporali e secondo i criteri descritti  dalla  stessa  disposizione,
sopra citata. Infatti, posto in via principale che  nessun  ulteriore
contributo  puo'  essere  richiesto  al  di  fuori  delle   descritte
procedure di cui all'art. 79 dello Statuto, quand'anche  in  denegata
ipotesi fossero dovuti ulteriori contributi a favore dello  Stato  da
parte dei comuni del territorio trentino, il compito di ripartire tra
i singoli comuni il relativo onere spetterebbe comunque alle Province
autonome ed ai rispettivi organi,  sulla  base  della  competenza  in
materia di finanza locale di cui agli artt. 79,  comma  3,  80  e  81
dello Statuto, nonche' delle regole in tema  di  rapporti  tra  fonti
provinciali e fonti statali poste dall'art. 2 d.lgs. n. 266 del  1992
(compresa l'esclusione di fonti secondarie statali)  e  delle  regole
concernenti il divieto di attribuzione di  poteri  amministrativi  ad
organi statali poste dall'art. 4 dello stesso decreto. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 10. 
    L'art.  50,  intitolato  Disposizioni  «finanziarie,  regola  tra
l'altro la copertura finanziaria delle spese disposte dal d.l. n.  66
del 2014. 
    In particolare, il comma 10 dispone  che  "agli  oneri  derivanti
dagli articoli 1, 2, 4, comma 11, 5, 9, comma 9, 16, commi 6 e 7, 27,
comma 1, 31, 32, 35, 36, 45, 48, comma 1, e dal comma 6 del  presente
articolo, ad esclusione degli oneri cui  si  provvede  ai  sensi  del
comma 9 del presente articolo, pari a 6.563,2  milioni  di  curo  per
l'anno 2014, a 6.184,7 milioni di euro per  l'anno  2015,  a  7.062,8
milioni di euro per l'anno 2016, a 6.214 milioni di euro  per  l'anno
2017 e a 4.069 a decorrere dall'anno 2018, che aumentano a  7.600,839
milioni di euro per l'anno 2014, a 6.229,8 milioni di euro per l'anno
2015, a 6.236 milioni di curo per l'anno 2017 e a 4.138,7 milioni  di
euro a decorrere dall'anno 2018 ai «fini  della  compensazione  degli
effetti in termini di fabbisogno ed indebitamento netto, si  provvede
mediante  utilizzo  delle  maggiori  entrate  e  dalle  minori  spese
derivanti dal presente provvedimento" (enfasi aggiunta). 
    Che dall'applicazione del d.l. n. 66 del 2014 derivino, anche per
la ricorrente Provincia (e per i comuni  e  gli  altri  enti  facente
parte del sistema della  finanza  provinciale),  maggiori  entrate  e
minori spese non e' contestabile. Quanto alle  maggiori  entrate,  in
particolare, cio' deriva dal fatto che per Statuto e'  devoluta  alla
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol  e  alle  province  autonome  di
Trento e di Bolzano una quota del  gettito  derivante  dalle  entrate
tributarie  erariali  percette   nei   rispettivi   territori   nella
proporzione definita dal medesimo Statuto speciale (articolo  75  del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670). 
    In termini esemplificativi, derivano  alla  ricorrente  Provincia
maggiori entrate da: 
        1) l'incremento delle imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917, introdotto dall'articolo  3  (Disposizioni  in
materia di redditi di natura finanziaria); 
        2) l'incremento per l'anno  2014  dell'aliquota  dell'imposta
sostitutiva delle imposte sui redditi  applicata  ai  fondi  pensione
prevista  dall'articolo  17,  comma  1,  del  decreto  legislativo  5
dicembre  2005,  n.  252  (Disciplina  delle   forme   pensionistiche
complementari), elevata per l'anno 2014 dall'articolo 4, comma  6-ter
(Disposizioni di coordinamento e modifiche  alla  legge  27  dicembre
2013, n. 147); 
        3) l'incremento del prelievo fiscale sui prodotti da fumo  (a
decorrere dal l ° agosto 2014) previsto dal comma 3 dell'articolo  14
del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, e confermato dall'articolo  5
(Modifiche all'articolo 14 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91,  e
all'articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23); 
        4) le maggiori entrate derivanti dall'attivita' di  contrasto
all'evasione  fiscale  previste  dall'articolo  7  (Destinazione  dei
proventi della lotta all'evasione fiscale),  nei  termini  illustrati
dal presente ricorso; 
        5) le  maggiori  entrate  per  imposta  sul  valore  aggiunto
derivanti dalle misure previste dal titolo III (Pagamento dei  debiti
delle  Pubbliche  amministrazioni)  del  decreto-legge  in  esame,  o
dall'aumento delle accise risultante dal comma  11  dell'articolo  50
(Disposizioni finanziarie) al  fine  di  raggiungere  l'obiettivo  di
maggior gettito pari a 650 milioni di euro per l'anno 2014; 
        6) le maggiori entrate, per l'importo complessivo  annuo  non
inferiore a 350 milioni di euro dal 2014, previste dalla disposizione
del decreto-legge che innova la  disciplina  sull'esenzione  dall'IMQ
per terreni agricoli (sopra  descritto  articolo  22,  comma  2,  che
sostituisce il comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge 2  marzo
2012, n. 16). Ugualmente, dalle limitazioni poste  dal  d.l.  66/2014
derivano minori spese. Rilevano qui, in particolare,  le  limitazioni
derivanti  dagli  articoli  8,  14  e  15,   sui   cui   profili   di
illegittimita' costituzionale ci  si  e'  soffermati  nei  precedenti
punti del presente ricorso. 
    In questo quadro, la Provincia autonoma di Trento ritiene, in via
principale, che la disposizione di cui all'art. 50, comma  10,  nella
parte in cui  stabilisce  che  "ai  fini  della  compensazione  degli
effetti in termini di fabbisogno ed indebitamento netto, si  provvede
mediante  utilizzo  delle  maggiori  entrate  e  dalle  minori  spese
derivanti dal presente provvedimento", vada intesa nel senso che essa
si riferisca alle  maggiori  entrate  che  naturalmente,  secondo  le
regole ordinarie del sistema, siano destinate ad affluire al bilancio
dello Stato, e corrispondentemente alle minori spese che  secondo  le
regole ordinarie del sistema istituzionale siano destinate a tradursi
in risparmi per il bilancio dello Stato. 
    In altre parole, alla ricorrente Provincia sembra chiaro che, ove
le singole e specifiche disposizioni  del  decreto-legge  determinino
incrementi di entrate fiscali, a tali entrate vada comunque applicato
l'articolo 75 dello Statuto, il quale riserva alla Regione e Province
autonome di Trento e di  Bolzano  la  pertinente  quota  del  gettito
derivante dalle entrate tributarie erariali percette  nei  rispettivi
territori. Diversamente potrebbe dirsi solo per effetto di  non  meno
specifiche riserve all'erario operate dalle medesime disposizioni, in
presenta dei  presupposti  previsti  dallo  stesso  Statuto  e  dalle
relative norme di attuazione, sopra piu' volte ricordate. 
    Ugualmente, eventuali risparmi di spesa cui  la  Provincia  fosse
tenuta sulla base di  legittime  norme  statali  non  potrebbero  che
rimanere assegnate, in ogni modo, al bilancio provinciale, come parte
delle entrate spettanti alla Provincia, in  attesa  di  poter  essere
spese una volta venuti meno i vincoli di coordinamento finanziario. 
    Tutto cio',  si  badi  bene,  in  forza  delle  ordinarie  regole
interpretative, che vietano di intendere norme generali,  di  livello
legislativo ordinario, come rivolte a contraddire norme speciali, per
giunta dotate di superiore  forza  normativa,  come  le  disposizioni
dello Statuto di autonomia. Allo  stesso  risultato,  del  resto,  si
perviene applicando il canone dell'interpretazione costituzionalmente
conforme. In ogni modo, e' fuor di dubbio che tale interpretazione e'
ulteriormente  rafforzata  dalla  clausola  di  salvaguardia  di  cui
all'art. 50-bis, in forza della quale "le disposizioni  del  presente
decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle  province
autonome di Trento e di Bolzano secondo  le  procedure  previste  dai
rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione". 
    La presente impugnazione e' dunque  formulata  in  via  meramente
cautelativa,  per  l'ipotesi  che  il  comma  10  dell'articolo   50,
nonostante quanto sopra considerato, dovesse intendersi come  diretto
a riservare allo Stato entrate che secondo lo Statuto  spettano  alle
province autonome, ed in particolare le maggiori entrate e i risparmi
di spesa derivanti dalle disposizioni sopra riportate. 
    Sarebbe  infatti  violato,  in  questo  caso,  in   primo   luogo
l'articolo 75 dello Statuto speciale e  la  normativa  di  attuazione
statutaria contenuta nel decreto legislativo n.  268  del  1992,  che
regolano in modo puntuale le entrate spettanti alle Province autonome
e tassativamente le ipotesi di riserva all'erario di nuove o maggiori
entrate di  natura  tributaria.  Sotto  tale  specifico  profilo,  in
particolare, la  norma  in  contestazione  apparirebbe  evidentemente
priva dei necessari requisiti della delimitazione temporale  e  della
separata contabilizzazione nel bilancio statale, tale da  consentirne
la quantificazione: oltre  che,  in  generale,  del  requisito  della
destinazione a nuove specifiche spese di carattere  non  continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle
province, come  richiesto  in  particolare  dall'art.  9  del  citato
decreto. 
    Sarebbero violati inoltre gli articoli 79, 103, 104 e  107  dello
Statuto, per le stesse ragioni gia' esposte al punto 2. 
    Per quanto riguarda le maggiori entrate o minori spese dei comuni
e  comunque  degli  enti  facenti  parte  della  finanza  provinciale
sarebbero violati altresi' gli articoli 79, comma 3, 80  e  81  dello
Statuto, nei termini pure sopra illustrati al punto 2.